"Il lupo mannaro contro la Camorra": la recensione potrebbe direttamente chiudersi con il sottotiolo di questa pellicola che eloquentemente ne esplica la follia.
Ma è più che giusto parlare diffusamente di questo lungometraggio diretto ed interpretato da Marco Antonio Andolfi ed ambientato in gran parte a Napoli.
Il solo fatto che si fanno incrociare le vicende di un uomo-lupo con quelle della Camorra napoletana conferisce alla sceneggiatura una solida base di ridicolo, consolidata dal forte ricorso a tutti gli stilemi tipici della napoletanità delinquenziale. Tutti i personaggi vengono infatti doppiati con uno spiccatissimo accento napoletano ed il 90% di essi è, ovviamente, affiliato alla Camorra. Esilaranti sono ad esempio i ladri che sottraggono al povero protagonista il gioiello che lo protegge dalla trasformazione (la croce del titolo): quando vengono catturati danno vita ad una indegna sceneggiata a base di "Nun saccio niente, marescià!", "Nun m'arrestate commissà" che scade irrimediabilmente nella farsa.
Ma questo è niente se consideriamo la recitazione imbarazzante di tutti gli attori principali e delle comparse (probabilmente reclutate alle recite delle parrocchie partenopee); particolarmente straniante nell'interpretazione del suo ruolo è proprio il protagonista, che nella insistita ricerca della croce passa, da una scena all'altra, dall'isteria convulsa alla passività più totale senza criterio alcuno. Andolfi raggiunge poi vertici assoluti di esilarante inettitudine nelle scene in cui agisce come licantropo: con addosso una patetica maschera pelosa sulla parte superiore della faccia e completamente nudo per il resto (si è mai viso un uomo-lupo senza peli addosso?), si muove impacciato come se stesse interpretando Frankenstein, coprendosi ignominiosamente di ridicolo.
A tutto ciò aggiungiamo che la decostruzione dell'intreccio permette al regista di raggiungere gli apici della filmografia del FilmBrutto grazie all'inserimento di alcuni psichedelici piani-sequenza quasi certamente concepiti sotto l'effetto di varie sostanze psicotrope.
Molte sono le scene che resteranno indubbiamente indelebili nella nostra mente: l'imbarazzante orgia iniziale, nella quale viene evocato il peloso demonio (realizzato con un costume da yeti) adorato dalla madre del protagonista, il sogno non-sense del protagonista a metà film, ai vertici assoluti del FilmBrutto per la ripetizione ossessiva dell'inquadratura in cui una palla di luce rossa esce dalla testa del demonio peloso, la dettagliata trasformazione in lupo mannaro, con i peli che crescono a scatto sulla faccia di Andolfi, e la morte per liquefamento di un vecchio camorrista.
Se tutto ciò non bastasse ancora ecco che il delizioso finale ci premia con la scena che vede come assoluta protagonista la cartomante Romana, prima maliarda seduttrice dell'ebete protogonista ancora uomo, e poi brutalmente posseduta dalla bestia in calore (e qui il livello della recitazione tocca veramente il fondo!).
La croce dalle sette pietre è un autentico capolavoro girato con tre lire e mezzi scarsi (la povertà delle riprese lo testimonia), un lungometraggio assolutamente imprescindibile per ogni adepto del brutto, da godere dal primo all'ultimo fotogramma, in cui, pateticamente, si fa apparire il volto di Gesù Cristo sullo sfondo di piazza San Pietro a simboleggiare la ritrovata serenità del bistrattato protagonista.
Paese | ITA |
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Attori principali | Marco Antonio Andolfi |
Genere | Horror |
A chi è consigliato | Per neofiti e cultori |
Se ti piace guarda anche | Una recita parrocchiale |
Reperibilità | Bassissima |
Voto |