Epitaph - Follia omicida

di Jospeh Mehri (1987)

Autori della recensione: dal forum: Pallina Demonia, Quarkonio

Nell'ottima annata FilmBruttesca 1987, il regista Joseph Merhi (Mayhem, Nome in codice: Alexia e via transitando di schifezza in schifezza) invece di dedicarsi alla famiglia o comunque ad un lavoro serio dirige un film la cui visione è in grado di devastare persino la psiche dei "veterani" fruitori del FilmBrutto.
Una famigliola composta da padre, madre, figlia e nonna trasloca di città in città senza alcun apparente criterio logico per far fronte all'esigenza di rifuggire dai luoghi in cui la madre (psicotica di turno) uccide chiunque le capiti a tiro, col supporto e l'omertà di tutta la famiglia.
Appena giunti nella nuova casa, che il regista si premura di farci sapere essere una chiesa ristrutturata (notare che la struttura architettonica è quella di una villa qualsiasi, quindi non si capisce per quale motivo si sia voluto aggiungere questo particolare ridondante e ridicolo, creando uno dei tanti buchi logici del film), tra figlia e genitori nasce un dialogo campato per aria che ci mette immediatamente di fronte al fatto che la ragazza si sente sola in quanto "non ha amici" a causa dei continui traslochi e quindi la psicomamma decide di lasciare che la figlia accolga fra le mura domestiche un cagnolino fatto transitare lì per lì davanti alla telecamera, che l'allegra combriccola decide di battezzare come "orso" all'unanimità.
Segue qualche scena caotica per mettere in luce le turbe psichiche della madre (che rifiuta il sesso col marito), della figlia (cresciuta nell'immaturità sessuale a causa della madre psico-protettiva) e del regista che ci propina una tale schifezza.
Primo omicidio: in casa giunge l'imbianchino, la madre tenta un abbordaggio degno dei peggiori bar di Caracas e lui stizzito risponde con una frase che suona come "Ne ho abbastanza delle vecchie bagasce che incontro a causa di questo schifoso lavoro." Manco fosse Califano... giustamente lei sfodera un coltello e lo manda in coma (eh sì, non riesce ad ucciderlo nonostante il numero spropositato di pugnalate...). Il padre rientra a casa e decide di seppellire il presunto cadavere in giardino, senza batter ciglio; la moglie ricompenserà la prova di fedeltà cieca con una fellatio, purtroppo solo accennata.
Il padre ormai preoccupato si reca da una psichiatra e con frasi di circostanza allucinate del tipo "Mi immaginavo che nel suo studio ci fossero più piante!" cerca di convincere la dottoressa a prendere in considerazione il caso della moglie con espressioni ricche di pathos come "Dottoressa mi aiuti, mia moglie ha la mania delle sottovesti!". Ma quella stessa notte... l'imbianchino, ancora vivo ed in perfetta forma, uccide il padre con una picconata e solo la prontezza di riflessi della psicomamma chiude la faccenda con una fucilata.
Da qui in poi la follia cinematografica si acuisce: la famiglia piange e seppellisce il padre e l'imbianchino (che finalmente è morto) senza avvisare alcuna autorità competente mentre la psicomamma prende le redini della famiglia. La psichiatra (spinta da non si capisce bene quali motivazioni) si finge vicina di casa (la casa è una villa isolata con giardino enorme perciò non si capisce bene che accezione dia il regista al gruppo di termini "vicino di casa") ed immediatamente diventa un'amica di famiglia.
La trama perde definitivamente di significato in quanto il film diventa un mixdown tra la più stupida delle sit-com ed una telenovela patetica capace di tediare anche il maratoneta del FilmBrutto, e gli unici eventi degni (degni?) di nota sono l'amore della figlia per il classico figo del liceo (manco a dirlo osteggiato dalla psicomamma) ed una comparsata stupenda da parte di un personaggio dal look assurdo che sembra il mitico Zlad che in qualche modo rivela l'identità della psicologa mentre lei e la mamma fanno shopping in un supermercato.
La madre capisce tutto e decide di farla fuori...
La tramortisce, la porta in cantina, le lega un secchio intorno alla vita con dentro un ratto affamato ("l'ho raccolto poco fa, non mangia da tre settimane"...), e con un becco Bunsen spinge il roditore alla fuga attraverso le viscere della malcapitata... insomma... grande cinema!
Saltano tutti gli schemi comportamentali: la madre chiude la figlia in una stanza lurida e lì la lascia per giorni senza cibo né acqua; la saggia nonnetta si fa protagonista afferrando un piccone e girando per il giardino di casa con l'attrezzo in mano (senza alcun motivo), raggiunge il telefono e cerca di mettersi in contatto con la polizia... ma per sollevare la cornetta appoggia il piccone ed è la sua fine: muore massacrata fra spruzzi di granatina all'amarena.
Si giunge al gran finale: il ragazzo della figlia con un'azione di forza entra in casa, la madre tenta di concupirlo ma lui non cede e lei gli tira addosso una secchiata di benzina minacciandolo di lanciargli addosso dei cerini accesi... il giovane riesce a tramortire la madre con un diretto al volto, libera la figlia che dopo giorni di digiuno totale è in pienissima forma, i due innamorati riescono a divincolarsi, raggiungono la macchina ma qui succede l'irreparabile: per un errore di continuità della sceneggiatura la madre oltre ad essere tramortita in casa, si trova anche nel sedile di dietro della macchina (volendo giustificare tutto ciò si potrebbe arrivare ad immaginare che dopo essersi beccata una castagna in pieno volto ha solo finto di svenire per poi rifugiarsi nell'auto... ma che senso avrebbe? Meglio pensare ad un errore di sceneggiatura, è più dignitoso...) e appena il ragazzo ribalta il sedile anteriore per far sedere la ragazza nei sedili posteriori (?), da lì sbuca la madre con un cerino acceso dandogli fuoco. Il giovane muore arso vivo.
Durante l'immancabile seppellimento nel giardino di casa la figlia, in un moto di consapevolezza o follia o non si capisce bene cosa, dà un colpo di pala alla madre, che muore; quindi la carica in macchina e le due, figlia e psicomamma-cadavere, escono di scena sui titoli di coda alla guida dell'auto di famiglia.
La categorizzazione di questo film come thriller-horror può essere ben intesa nell'ottica in cui il regista, l'assassino, stia cercando di uccidere di noia lo spettatore, ignara vittima. La totale assenza di criterio e di qualità nell'intreccio delle scene fa sì che l'encefalogramma dell'attenzione si mantenga costantemente piatto, eccezion fatta per alcuni deboli picchi legati esclusivamente a qualche parentesi trash.
L'incapacità degli attori, i dialoghi deliranti, la trama patetica degna di una raccolta di "pensierini" in stile "Io speriamo che me la cavo" lo consacrano assolutamente come uno dei film più autopunitivi di sempre.

Paese USA
Attori principali Natasha Pavlova, Jim Williams, Delores Nascar, Flint Keller
Genere Horror
A chi è consigliato Agli oppiomani, a chi fa altre cose mentre guarda film
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Reperibilità Si trova in DVD
Voto


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